Sommario
La supervisione è considerata un elemento essenziale nello sviluppo della competenza del terapeuta e per un buon supporto psicoterapeutico ai propri pazienti. Per molti psicoterapeuti è considerata uno degli strumenti indispensabili per l’esercizio ottimale della propria professione e rappresenta una delle fasi più importanti.
“Ogni trattamento destinato a penetrare nel profondo consiste almeno per metà nell’autoesame del terapeuta”.
Jung – “Questioni Fondamentali di Psicoterapia”
Volendo dare un’interpretazione letterale, per supervisione si può intendere quell’attività che viene esplicitata dalla persona che controlla e che dirige un’attività e che concretamente si realizza nell’attenta osservazione dei processi e delle dinamiche di una ben determinata e definita situazione. Viene da molti paragonata ad un terzo occhio che riesce a notare aspetti che potrebbero sfuggire e che aiuta nella gestione di situazioni particolari o problematiche.
La supervisione in psicoterapia è da intendersi, dunque, come uno spazio nel quale un terapeuta porta all’attenzione di un collega con più esperienza, uno o più casi clinici rispetto ai quali sta incontrando delle difficoltà. In riferimento ai tempi, va detto che non è definita una durata standard, ma è piuttosto una responsabilità del terapeuta: deve saper gestire i tempi e riconoscere un ostacolo ed adoperarsi per risolverlo. Il terapeuta supervisore è dunque un punto di vista esterno che aiuta nell’analisi della situazione, dei fatti e delle aventuali criticità.
I contesti di riferimento sono molteplici.
La richiesta di supervisione, infatti, può essere rivolta ad uno psicoterapeuta che ha maturato una certa esperienza, può essere chiesto da aziende, case-famiglia, ospedali, strutture di accoglienza (allorquando il personale manifesti la necessità di affrontare le difficoltà che si presentano con gli utenti o con i colleghi e che non riescono a essere superate con le proprie risorse).
La supervisione è un persorso che un terapeuta decide di intraprendere non perché deve ma perché è utile e fondamentale per migliorare la sua professione.
Possiamo identificare alcuni punti essenziali a partire dai quali sarebee opportuno muoversi per raggiungere un buon livello di supervisione:
Nella maggior parte dei casi, chi vuole iniziare un percorso di supervisione, lo fa perché ha identificato una problematica e vuole chiarirla. Esempi possono essere difficoltà nella diagnosi, di trattare certi temi o di usare alcune tecniche. Per questo è importate che il problema o motivazione o focus della supervisione sia chiarita all’inizio, prima di iniziare il percorso.
È fondamentale analizzare quali saranno le competenze richieste al supervisore e se il supervisore individuato ne è in possesso. Ogni supervisore, infatti, può essere/non essere in possesso di conoscenze e competenze aggiornate relative alle aree sorvegliate (ad esempio modelli di psicoterapia, ricerca valutazione diagnostica). Queste competenze saranno certificate da anni di attività, quanto da specifici riconoscimenti da organizzazioni del settore. Tutto ciò dovrà essere valutato e tenuto nella dovuta considerazione. Il supervisore non dev’essere necessariamente competente su tutto, ma può aver maturato negli anni le specifiche competenze di cui necessita una particolare realtà terapeutica.
L’alleanza di lavoro di supervisione è un elemento essenziale nella relazione terapeutica. Sono stati utilizzati metodi qualitativi e quantitativi per esplorare il ruolo che l’alleanza di lavoro di supervisione svolge nel processo di formazione di questo tipo di collaborazione e la sua relazione nello sviluppo professionale dei terapeuti in formazione. I risultati di diversi tipi di analisi suggeriscono che l’alleanza di lavoro di supervisione gioca un ruolo importantissimo nell’esperienza di formazione.
I valori che guidano la supervisione sono: integrità, onestà, attenzione per il benessere degli altri e conoscenza deontologica della propria professione. L’etica nella supervisione porta sicuramente a fare riferimento al codice deontologico degli psicologi, in cui si fa riferimento alla supervisione nell’articolo 28: l’invito è chiaro e volto a evitare commistioni per evitare sfruttamento del ruolo acquisito. Come prevedibilmente atteso, i supervisori devono avere la capacità di mantenere una relazione in un contesto positivo e costruttivo, in cui si ha la possibilità di esprimere le proprie emozioni ed opinioni anche e soprattutto alla luce della diversità di esperienze pregresse. Ci si aspetta un’ottima gestione delle critiche e della loro formulazione.
Le funzioni fondamentali dell’attività di supervisione si realizzano nella relazione tra supervisore e supervisionato, consuetudinalmente intesa come un ‘accordo di apprendimento’ (Fleming e Benedek, 1983) e di crescita. In questo percorso vengono acquisite competenze e insegnate abilità e tecniche della professione psicoterapeutica.
Il supervisore, dunque, deve saper:
Queste funzioni saranno gestite in un percorso terapeutico di supervisione che può identificarsi in tre fasi costitutive:
L’impostazione teorico-concettuale e metodologica della prassi di supervisione ha seguito quella degli approcci terapeutici e sono, di conseguenza, diversi i modelli di supervisione identificabili e che caratterizzano particolari forme di psicoterapia.
La necessità di una supervisione, come parte specifica del percorso formativo clinico, si afferma nel mondo psicoterapeutico intorno agli anni ’20: benchè ci fossero stati, prima di allora, gruppi informali di professionisti che s’incontravano per discutere vari aspetti del lavoro con i pazienti, era l’analista personale, per gli allievi, il vero punto di riferimento per la guida e la valutazione del processo di sviluppo tecnico-professionale (Abadi; in Benvenuto e Nicolaus, 1990).
Solo nel 1920, l’Istituto di Psicoanalisi di Vienna stabilisce che i due ruoli, quello di analista e quello di supervisore, siano assunti da due persone diverse: il primo viene ritenuto più strettamente attinente alla terapia, mentre il secondo più vicino all’insegnamento. Così, l’educazione dello psicoterapeuta, prende posto accanto all’insegnamento formale e all’analisi personale (Dazzi e Migone; in Pazzagli, 1990).
Tradizionalmente, s’intende per supervisione l’esposizione, da parte di un allievo ad un collega più esperto, di materiale clinico di una o più sedute allo scopo d’essere sostenuto e aiutato nella condotta in quel caso e, più in generale, nell’acquisizione di capacità terapeutica, analitica (Barnà; in Marinelli e Sbardella, 1995).
Ekstein e Wallerstein (1958)(1973: p. 14).hanno descritto la supervisione mediante un ‘rombo clinico’, che pone in evidenza i rapporti tra quattro entità: S (supervisore), T (terapista), P (paziente), A (istituto) e hanno sostenuto che:
“la supervisione è un nuovo processo di crescita che può essere limitato da attitudini e da resistenze irrazionali sia nello studente che nel supervisore, ma che è analogo al processo di psicoterapia tramite il quale si spera di aiutare il paziente a conseguire indipendenza e insight”
Ecco dunque che lo strumento indispensabile diventa opportunità: di crescita, di miglioramento, di supporto per sè e per i propri pazienti.
Questo a conferma di quanto importante sia il supporto psicoterapeutico, per tutti.
Neppure il terapeuta può farne a meno.
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